Trascrizione
Milano, 20 marzo 1952 | Caro Pallucchini, la tua lettera del II marzo da Cortina, che trovo qui giacente al mio ritorno da Parigi (due stupendi schizzi del Tiepolo da Charpentier!) m’ha fatto gran piacere per il tono amichevole, calmo, sincero: tono che invita alla discussione oggettiva, e non la reprime, come accade quasi sempre nelle polemiche. E te ne ringrazio. | Comprendo benissimo – me l’aspettavo – che la mia presa di posizione circa il problema guardesco ti abbia alquanto sorpreso. Ora tu devi sapere che io stesso ho cercato in tutti i modi di difendermi dall’idea di mutare il mio parere al riguardo, poiché già m’ero “compromesso” con varie pubblicazioni circa il Guardi figurista. Ma ci sono stato portato inevitabilmente. La mia convinzione s’è andata vieppiù radicando dopo aver trovato altri elementi di giudizio in favore della tesi antoniana. Alcuni di codesti elementi sono accennati nel mio saggio sul ritratto del maresciallo Schulenburg, che ti ho inviato di recente per “Arte Veneta” e che nel frattempo ti sarà pervenuto. Ma è proprio una catena di fatti logicamente (cioè stilisticamente) connessi che porta alla conclusione d’uno stesso autore per le tele di: Berlino, Vienna, Strigno, Belvedere, Cerete ecc. | La collaborazione dei due fratelli (oltre?) ci deve essere stata indubbiamente, e basti il documento Giovanelli ad affermarlo. Ma che abbia durato a lungo, ne dubito. E poi non è detto che la collaborazione si effettuasse sui medesimi dipinti. Il documento parla di copie fatte dai fratelli Guardi. Ma uno può aver fatto una copia, altro un’altra. Per la verità io immagino che nello studio di Antonio da una parte lavorasse lui alle tele figuristiche, dall’altra Francesco alle vedute ed ai “capricci”. (Quel che facesse Nicolò non ci è dato di sapere che vagamente e di riflesso). Messosi sulla strada del vedutismo, Francesco vi rimase, in sostanza, abbastanza fedele; e riprese forse con maggior lena il figurismo solo dopo la morte di Antonio, per adempiere alle commissioni dello “studio”. Non riesco a vedere due “mani”|nelle tele di Strigno, Belvedere, Cerete. Piuttosto, mi pare, in quella di Vigo, e nelle lunette. Certo è un problema, a momenti, irto di incognite. Esso si risolve peraltro, a mio giudizio, coll’immissione della personalità di Antonio nel “corpus” dell’opera guardesca. E tutto appare più conseguente, logico, chiaro. (Se poi dalle tele grandi si passi alle piccole. Come si fa ad ammettere una collaborazione? P.es. nelle tavoletta dei “Coroneri” ecc.). | Certo, la tesi ha ancora bisogno di appoggi storici.